O tu che dormi là su la fiorita
collina tosca, e ti sta il padre a canto;
non hai tra l'erbe del sepolcro udita 
pur ora una gentil voce di pianto?

È il fanciulletto mio, che a la romita
tua porta batte: ei che nel grande e santo
nome te rinnovava, anch'ei la vita
fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.

Ahi no! giocava per le pinte aiole,
e arriso pur di vision leggiadre
l'ombra l'avvolse, ed a le fredde e sole

vostre rive lo spinse. Oh, giù ne l'adre
sedi accoglilo tu, chè al dolce sole
ei volge il capo ed a chiamar la madre
 

GIOSUE' CARDUCCI nacque a Valdicastello, in Versilia, nel 1835. Completati gli studi letterari, insegnò nelle scuole medie, finchè gli fu offerta la cattedra di Letteratura Italiana all'Università di Bologna, che tenne con impegno e successo per oltre quarant'anni. Nel 1906, primo fra gli Italiani, ebbe il premio Nobel per la letteratura. Morì a Bologna nel 1907.
L'invito rivolto al fratello, morto ancor giovane, ad accogliere con amore e tenerezza un bimbo nel regno dei morti è il tema di "Funere mersit acerbo", uno dei più delicati e commoventi sonetti delle "Rime nuove" di Carducci, scritto nel 1870, nella tragica circostanza della morte di un figlio di appena tre anni.