Sono il papà di un bambino di undici mesi. Con il fratello maggiore, che adesso ha tre anni e nove mesi, nel periodo in cui ha iniziato a gattonare, abbiamo innanzi tutto eliminato dalla sua portata ogni cosa per lui pericolosa, per evitare che le toccasse (piante o comunque oggetti non maneggiabili da lui) e lo richiamavamo con un secco "No!" quando si accostava, ad esempio, al caminetto o toccava comunque qualcosa di pericoloso. Anche con il secondo stiamo adottando questa tecnica, con risultati più o meno positivi; però da qualche giorno veniamo richiamati, dai nostri genitori, sull'opportunità di limitare in qualche modo la libertà di movimento e di apprendimento del piccolo. La domanda è la seguente: è bene fargli comprendere sin da adesso il significato del "No!" o è il caso di distrarne l'attenzione offrendogli alternative, e quindi procrastinargli quella che potrebbe essere una sensazione di insoddisfazione? Chi ha ragione: i genitori o i nonni?

Cari genitori, nemmeno nel mondo utopico che tutti sogniamo sarà possibile far comprendere ad un bimbo di undici mesi il significato del No: ci vorrà molto tempo, molta pazienza, qualche decina di oggetti rotti e alcune contusioni prima che il piccolo, già bimbetto di due o tre anni, possa non certo comprendere un pericolo, ma almeno temere le conseguenze di qualcosa che sa essere disapprovato.

Conseguentemente, mi sembra molto appropriato il vostro sistema: il vostro bimbo dovrà imparare cosa si fa e cosa non si fa, e dovrà gradatamente imparare a sopportare la frustrazione di ciò che, per il suo bene, gli viene inibito di fare. Accontentiamoci che per il momento non lo faccia. Pretendere a quell'età che comprenda le nostre motivazioni sarebbe come insegnargli che la campanella che lui chiama "dindon" è una lega di metallo e ottone, altrimenti chiamata "sacro bronzo": qualcosa di inutile, ridicolo, paradossale. E fate in modo che i vostri rifiuti e le vostre proibizioni gli servano da orientamento, lo aiutino a discernere: confidiamo nelle sue qualità cognitive che lo metteranno in grado, col tempo, di capire i rischi e i pericoli del mondo in cui vive e di adottare comportamenti adeguati.

Un bimbo di uno o due anni va ancora tenuto per mano quando si cammina per strada, ma a cinque - sei anni lo si può lasciare libero di correre sul marciapiede, certi che non attraverserà da solo la strada. E ora arriviamo al vostro dilemma con i nonni che, se ho ben compreso, sono poco propensi a dire il "No". Facciamo un esempio: il vostro cucciolotto si avvicina al caminetto dove rosolano, per la gioia dei commensali, delle belle bistecche. L'adulto richiama il bimbo: "Vieni di qui, c'è un bellissimo giocattolo nuovo!", e il bimbo, allettato dalla lusinga, cambia direzione. Ma l'insidia di questa tecnica è duplice: Che succede se non abbiamo un bellissimo giocattolo nuovo, o in ogni caso non si persuade il bimbo a fargli cambiare direzione? Soprattutto, e questo è l'aspetto più importante, come questo bambino potrà mai capire che un caminetto acceso è potenzialmente fonte di pericolo, e che quello che in sostanza gli si chiede è un comportamento attento e accorto? Mi sovvengono ulteriori considerazioni, senz'altro accessorie e meno rilevanti: Se il caminetto si accende tutti i giorni, diventerà un incubo per l'intera famiglia: quanti giocattoli, o quante fantasiose scuse per distrarre il bimbo nella sua intrepida marcia??? E quando lo sviluppo linguistico lo sorreggerà, e dichiarerà fermamente: "Io cucino bistecche!!!", cosa si dovranno inventare i poveri genitori per distrarre la sua attenzione? E moltiplicando la situazione "caminetto" per le centinaia di situazioni pericolose che quotidianamente si vivono in casa, posso prevedere un tracollo totale: soprassedendo sullo stress che si induce negli adulti, con la tecnica suggerita dai nonni questo bimbo non imparerà mai a discernere le fonti di pericolo, non presterà mai maggiore attenzione ad alcune situazioni e, in definitiva, crescerà senza imparare nulla.

La tecnica dei nonni io la trovo più appropriata ad altri e differenti contesti educativi: per esempio quando il vostro bimbetto vi sparerà la sua prima, allucinante parolaccia. In quella situazione trovo inutile e fuori luogo tormentarlo con domande tipo "Dove l'hai sentita?", "Chi te l'ha detta?". Non creiamogli noi le associazioni mentali con cui richiamare alla memoria un termine: meglio far finta di niente e sperare nell'oblio. In molte altre situazioni, però, il No va detto forte e chiaro, e il vostro bambino dovrà imparare a tollerare le frustrazioni, necessariamente, in ragione del suo futuro adattamento. Ma non drammatizziamo. La piccola privazione quotidiana è meno dolorosa di quanto possiate immaginare: come la dieta.

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