Le leucemie acute possono essere suddivise in linfoblastiche e mieloidi a seconda che colpiscano la linea linfatica o mieloide. La presenza di una quota uguale o superiore al 30% di blasti nel midollo è diagnostica. Nei casi di leucemia linfatica acuta la quota è superiore al 80%, mentre per la Leucemia mieloide acuta è spesso inferiore al 70%. Per quanto attiene alla terapia i linfomi linfoblastici e di Burkitt, se infiltrano massivamente il midollo (blasti superiori al 25%) sono considerati nel gruppo delle leucemie. La diagnosi e la classificazione delle leucemie si basa sull'identificazione dei blasti e sulla loro attribuzione alle linee cellulari.

Leucemia linfatica acuta

Le leucemie linfatiche acute sono caratterizzate da una proliferazione, nel midollo osseo, di un clone cellulare bloccato ad uno stadio precoce della differenziazione. La proliferazione dei blasti inibisce la crescita delle linee cellulari normali. Il quadro clinico che consegue a ciò può essere duplice. Una prima evenienza è data da un esordio brutale (in 8-10 giorni): il bambino diventa pallido, astenico, febbrile e presenta emorragie muco-cutanee. La seconda evenienza è caratterizzata da esordio più lento (1-3 mesi) ed è segnato da episodi infettivi, dolori articolari e muscolari, apparizione progressiva di pallore e adenopatia con epatosplenomegalia.

Un solo prelievo di midollo osseo è sufficiente per porre diagnosi, grazie agli studi citologici ed immunofenotipici. Malgrado l'eterogeneità dei protocolli, dovuta alla variabilità dei fattori prognostici utilizzati, i principi generali sono i seguenti:

  • Eradicare le cellule leucemiche dal midollo osseo, preservando i progenitori normali.
  • Proporre un trattamento intensivo precoce ad ogni paziente con una fase d'induzione, seguita da una di consolidamento, basata sul principio di Goldie e Coldman, già studiato da Skipper su modelli murini di leucemia L1210. L'uso di farmaci attivi, con meccanismi d'azione diversi, somministrati alla dose massimale, è un approccio terapeutico intensivo che permette di ridurre rapidamente la massa tumorale e di evitare fenomeni di resistenza indotta.
    La fase di induzione ha lo scopo di ottenere una remissione completa in 3 settimane, ovvero una normalizzazione del mielogramma e la scomparsa dei siti tumorali. Alcuni gruppi utilizzano il trapianto di cellule staminali da donatore come consolidamento anche al momento della prima remissione completa, ma solo nei pazienti ad alto rischio.
  • Realizzare una terapia di mantenimento, che permetta di limitare il rischio di recidiva. Sulle modalità e la durata non c'è ancora accordo fra i vari gruppi di studio internazionali.
  • Attuare una profilassi cerebro-meningea durante la fase di consolidamento.
  • Adattare i protocolli ai fattori prognostici come, ad esempio, i pazienti con LLA di età inferiore ad 1 anno o superiore a 9 con un numero di globuli bianchi >50.000. Le recidive si presentano nel 20-30% dei pazienti e di questi il 60% nel primo anno dopo la diagnosi, quindi durante la terapia, mentre il 20% avviene nel primo anno dopo la fine della terapia. Attualmente la sopravvivenza a 5 anni è dell'ordine dell'84%.

Leucemia mieloide acuta

In senso stretto il termine "leucemia mieloide acuta" indica una proliferazione neoplastica delle linee mieloidi o granulocitica. Tuttavia molti autori si riferiscono con questo termine a tutte le leucemie non linfoblastiche, così faremo anche in questo capitolo. La diagnosi di leucemia mieloide acuta richiede la presenza del 30% o più di blasti mieloidi nel midollo osseo. In alcuni tipi di leucemia mieloide acuta, la cellula leucemica dominante può non essere un mieloblasto. Esempi ne sono le leucemie promielocitica e la monocitica con differenziazione.

L'esordio può essere progressivo o rapido, segnato da una sindrome emorragica o un'infezione severa; la semeiologia è la conseguenza dell'insufficienza midollare e della proliferazione blastica. Il bambino è pallido, astenico, affetto da una sindrome emorragica più o meno evidente, che va dalla presenza di qualche petecchia a sanguinamenti massivi che fanno sospettare una CID (Coagulazione Intravascolare Disseminata). La febbre può, però, essere il solo segno di un'infezione, in questi bambini agranulocitari.

All'esame obiettivo si ritrova, una volta su due, un epatosplenomegalia, rare sono le adenopatie. Nella forma M3 non è presente sindrome tumorale, ma è presente talvolta una lesione ossea. L'infiltrazione cutanea è frequente nella forma monoblastica e possibile in quella mieloblastica.

Fra i segni biologici i più importanti da ricordare sono: l'anemia, che è normocitica, normocromica e arigenerativa. La leucocitosi compresa fra 5.000 e 50.000 cellule/litro nel 75% dei casi, superiore a 100.000 nel 20% e superiore a 300.000 nel 4% (in quest'ultimo caso c'è un'elevata viscosità ematica con i relativi rischi). La piastrinopenia è spesso aggravata da una piastrinopatia, una CID è spesso presente nel caso di leucemie granulocitiche.

La terapia ha per scopo quello di eradicare il clone leucemico al fine di permettere la ripresa di un ematopoiesi normale ed il ripopolamento del midollo osseo da parte di cellule normali. Il seguito del trattamento permette di mantenere questo stato.

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