Alla figlia di una mia amica è stata diagnosticata questa malattia: glomerulonefrite mesangiale.
Vorrei cortesemente avere tutte le informazioni possibili su questo tipo di malattia.

La dizione più corretta, al posto di "glomerulonefrite mesangiale", é quella di "glomerulonefrite membranoproliferativa" oppure "glomerulonefrite mesangiocapillare", come si rileva dall'inquadramento anatomopatologico proposto dal Trattato di Pediatria "Nelson" (testo di riferimento per tutti i Pediatri). La glomerulonefrite membranoproliferativa é suddivisa nel tipo 1, 2 e 3, in relazione all'aspetto microscopico evidenziato alla biopsia diagnostica. Questa glomerulonefrite é statisticamente la causa più frequente di glomerulonefrite cronica nei bambini più grandi e nei giovani adulti: infatti é più frequente nella seconda decade di vita.

Il danno a carico del rene é prodotto da un aumento delle "cellule mesangiali" e della "matrice" con ispessimento della parete dei vasi capillari del "glomerulo", cioè della parte di rene che é deputata alla filtrazione del sangue per produrre l'urina che, come é noto, contiene sostanze di scarto del nostro organismo.

Clinicamente la maggior parte dei pazienti manifesta una lieve sindrome nefrosica, altri hanno presenza più o meno intensa di sangue e/o proteine nell'urina. La funzionalità del rene può rimanere comunque anche normale, oltre che poter essere ovviamente alterata. É frequente il riscontro di pressione alta (ipertensione arteriosa).

La diagnosi viene fatta attraverso la biopsia renale, che evidenzia quelle lesioni e quelle alterazioni ricordate brevemente sopra. La prognosi per questa malattia é purtroppo sfavorevole, anche se sono stati riportati casi di guarigione completa: la maggior parte di questi malati progrediscono verso l'insufficienza renale, specialmente quelli affetti dalla glomerulonefrite membranoproliferativa di tipo 2, ma anche parte di quelli affetti dalla malattia di tipo 1 e 3. Non esiste alcuna terapia definitiva, sebbene in alcuni pazienti sia stata ottenuta la stabilizzazione del decorso clinico con una terapia prolungata a base di cortisonici e in altri pazienti con farmaci che inibiscono la funzione delle piastrine (quegli elementi del sangue che bloccano le emorragie formando un "tappo" che ripara un vaso sanguigno leso).