Era il 1912 quando un’allieva di Freud, Hermine von Hug-Helmut, scrisse il primo articolo nel quale il gioco era considerato per i bambini la migliore comunicazione tra conscio ed inconscio. Fu lei la prima persona ad utilizzarlo in ambito terapeutico evidenziando come i bambini trovassero sollievo e aiuto non tanto nell’intuizione e apprendimento cosciente quanto nel gioco.

Da allora il gioco è diventato un valido e, sempre più, diffuso strumento di analisi e intervento nella pratica clinica. La Play Therapy (PT) è oggi un’efficace forma di terapia per i bambini che si fonda sull’uso del gioco inteso come il mezzo espressione primaria attraverso cui il bambino esprime se stesso, mostra e gestisce le proprie difficoltà.

“La PT utilizza in maniera sistematica proprio questa naturale inclinazione a giocare come mezzo per creare un ambiente terapeutico emotivamente sicuro che incoraggia la comunicazione, la creazione di relazione, l’espressione, la risoluzione dei problemi del bambino” (Rise VanFleet).

Il gioco è, infatti, il linguaggio dei bambini, è il mezzo attraverso il quale essi costruiscono il significato del mondo, apprendono, esprimono il loro vissuto, aiuta a sviluppare abilità fisiche mentali emotive e sociali, è spontaneo e consente di creare un ambiente divertente.

Nella PT, dunque, il gioco è utilizzato come processo terapeutico, ovvero, non come semplice attività ludica (Play Around) o attività facilitante altri interventi (Play Work), ma come strumento per aiutare i clienti a limitare le proprie difficoltà psicosociali e ad ottenere uno sviluppo positivo ed ottimale.

Molti terapeuti utilizzano i giocattoli per stimolare i bambini a parlare di ciò che è per loro più difficile. La differenza tra questa modalità e la Play Therapy è che nellaPlay Therapy il gioco è la terapia.

Il ruolo del playtherapist è quello di guida nello sviluppo di abilità cognitive e sociali del bambino (ad esempio, autostima, autocontrollo, senso di sé, regolazione delle emozioni e gestione dello stress) e nella risoluzione di problemi, in sintonia con i bisogni e i sentimenti del bambino all’interno di una relazione sicura.

Ad esempio se un bambino ha difficoltà di parola, spesso ha difficoltà a dire come si sente e rappresenta i propri sentimenti in modo fisico manifestando agitazione, impulsività, comportamento aggressivo, ecc. L’obiettivo della PT non è bloccare la rabbia ma far si che il bambino la esprima in modo appropriato: “La rabbia usata come arma è distruttiva, la rabbia imbottigliata è autodistruttiva, ma la rabbia trasformata in gioco può diventare gioia”.

Diffusa soprattutto in nord America, nord Europa, Corea del Sud e Giappone, la PT si avvale di molteplici modelli tra cui: Play Therapy Centrata sul Bambino, Cognitivo-Comportamentale, Filial, Psicoanalitica, Adleriana ecc. Il setting utilizzato, a prescindere dall’utilizzo di un modello piuttosto che un altro, è una sala da giochi allestita con una molteplice varietà di giocattoli che stimolano l’immaginazione e favoriscono l’espressione delle emozioni del bambino.

Gli interventi possono avere carattere direttivo o non direttivo. Nel primo caso playtherapist pianifica in base alla situazione e ai risultati prefissati, attività basate sul gioco che consentano al cliente di raggiungere i propri obiettivi. Il playtherapist, in accordo al suo piano di intervento, propone per tanto in ogni sessione diverse attività di gioco.

Negli interventi non direttivi, il terapeuta segue invece l'iniziativa del bambino che entro specifici limiti, è libero di praticare l'attività che preferisce. Scopo principale del playtherapist è creare un ambiente accettante e sicuro che aiuti il bambino ad innescare un processo naturale di guarigione e sviluppo.

Un’altra forma particolarmente efficace di PT è la Filial Therapy, nella quale il playtherapist fornisce ai genitori le informazioni e le abilità di natura psicologica per condurre delle sessioni di gioco non direttivo con i propri figli, diventando cosi essi stessi i primi agenti di cambiamento per i propri figli.

L’efficacia degli interventi di PT sono supportati da numerose ricerche empiriche (con bambini, adolescenti e adulti) tra le quali tra le quali possiamo ricordare i lavori di L. Reddy, T. Hall, C. Schaefer, A. Drewes.

Bibliografia essenziale:

C.Mochi. La Play Therapy: il gioco come comunicazione.
C.E. Schaefer. Foundations of Play Therapy.  Wiley & Sons, Hoboken New Jersey.
C. E. Schaefer. The therapeutic power of play. Northwale, N.J.: Jason Aronson
R. VanFleet, A.  E. Sywulak, C. Caparosa Sniscak. Child-centered play therapy. Guilford press.

Altro su: "Play Therapy"

Non vuole che gli si tocchino i suoi giochi
Quando mio figlio è in compagnia di altri bambini, non vuole che gli tocchino i suoi giochi. E' una situazione ricorrente nei bambini.
Un po' di letteratura
Il gioco nella letteratura. Una poesia di Gianni Rodari ed un brano tratto dai "Miserabili" di Victor Hugo.
I musei del gioco e del giocattolo
Ogni giocattolo è una rarità, creato dalla fantasia e dalla bravura delle mani esperte di artisti ed artigiani. Ecco un elenco di musei del gioco.
Genitori e figli giocano
Il gioco tra genitori e figli permette di migliorare la relazione familiare.
Gioca solo con gli adulti
Bisogna valutare quali siano i motivi che portano il bambino a giocare solo con gli adulti. I consigli della psicologa.
Vuole i giochi del fratello più piccolo
Se non ottiene i giochi del fratello piange ed urla. Comprare doppi giochi non risolve il problema.