La maestra di mia figlia di cinque anni (che frequenta il secondo anno delle materne) chiama "spioni" i bambini della classe che non si fanno gli affari propri. Adesso mia figlia ha difficoltà a capire quando si deve dire la verità e quando invece deve farsi i fatti propri. Pensa che sia un buon metodo educativo quello che sta usando l'insegnante?

È nella natura dei bambini il fatto di essere degli "spioni", solo che c'è qualcuno che lo è di più degli altri e passa il tempo ad ascoltare le argomentazioni degli adulti e a riferire le azioni negative svolte dagli altri compagni. Si tratta di bambini, specialmente femmine, che sono talmente assorbiti dal loro compito che non giocano né relazionano in modo adeguato con gli altri, e si sostituiscono all'adulto nel suo ruolo di "giudice" delle azioni e distributore di ricompense o castighi.

Questi bambini devono dunque imparare a capire la distinzione tra adulto e bambino. E comprendere che possono intervenire in determinate situazioni (per esempio riferire il fatto che un compagno si è fatto male) e non in altre (per esempio quando un compagno ha svolto male un compito), principalmente perché in questo modo si rendono antipatici agli occhi dei compagni, con conseguente isolamento dal gruppo e poi perché è giusto che si comportino da bambini, cioè da individui che devono realizzare un lungo percorso di crescita, prima di influire sulle azioni altrui.

Dare un connotato negativo, con l'uso del termine di "spione", accompagnato dalla spiegazione di ciò che è lecito riferire, è un atteggiamento che ritengo positivo.

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