C'è una diatriba riguardante il tampone faringeo eseguito come screening sui bambini dell'asilo nido. Mia figlia, di tre anni, è stata sottoposta, nel mese di dicembre 96, al suddetto tampone da parte dell'equipe della locale USSL; il tampone è risultato positivo (come per altri 7 bimbi) per streptococco beta-emolitico di gruppo A; ciò ha comportato tre giorni di isolamento, terapia antibiotica, nuovo tampone a distanza, negativizzato. All'inizio del mese di maggio è stato fatto un nuovo controllo da parte dell'equipe dell'USSL, con nuovo esito di positività; e via di nuovo con l'antibiotico. ecc. Mi chiedo: ha senso tutto questo? La nostra pediatra sembrava abbastanza scettica, soprattutto per ciò che riguarda il metodo applicato: come evitare che i bambini che hanno tampone positivo si contagino nuovamente? Se ci sono fratelli maggiori o minori in altri gruppi (scuole, attività sportive ecc)? Inoltre, gradirei avere chiarimenti sui reali rischi che corre il bambino, e sui possibili rimedi.
Dati epidemiologici indicano che la percentuale di portatori di Streptococcus Pyogenes (SP) oscilla dal 5 al 15%, in assenza di epidemie; in presenza di epidemie la percentuale di "portatori" può arrivare al 40%. Tale stato può persistere anche per molti mesi e non si associa a un significativo rischio di complicazioni o di contagio. Inoltre lo SP può risiedere in faringe, se il paziente non viene sottoposto a terapia, da diverse settimane a più mesi. Tali portatori di SP non corrono rischi per sé stessi, dopo risoluzione del fatto acuto, e sono scarsamente contagiosi per i contatti. Essi non necessitano in genere di trattamento antibiotico e quindi non debbono di solito essere identificati o sottoposti a trattamento antibiotico, in quanto appaiono a basso rischio di sviluppare un RAA e in genere non hanno importanza nella diffusione dello SP a contatti che vivono o lavorano con loro.
Si consiglia di non effettuare controlli di routine nelle classi a meno che non si siano verificati casi di reumatismo articolare acuto, di nefrite o di sindrome da shock tossico. Un tampone faringeo dovrebbe quindi essere interpretato nel contesto clinico epidemiologico di quel paziente ed in quella determinata situazione clinico-epidemiologica. Una coltura positiva è importante nella diagnosi di infezione streptococcica solamente se è correlata temporalmente all’inizio della malattia clinica. I contatti dei pazienti con infezione debbono eseguire un test rapido o colture faringee solamente in presenza di una sintomatologia clinica.
Appaiono pertanto sempre valide le seguenti affermazioni non occuparsi dei portatori asintomatici non fare culture per batteri diversi dallo streptococco un tampone faringeo è una guida di laboratorio e non un decision-maker non darsi pena di fare culture di controllo non far fare titolazioni delle antistreptolisine (eccetto che per la diagnosi di reumatismo articolare acuto) non indaffararsi con PCR, conta leucocitaria o altri esami nella diagnosi differenziale delle faringiti (se si sospetta una mononucleosi può essere sufficiente fare un striscio periferico). Nonostante quanto sopra affermato lo stato di portatore si presta tutt’oggi ad interpretazioni e a vari comportamento diagnostico-terapeutici. Si assiste tutt’oggi al tampone faringeo di "massa" con conseguente indicazione, da parte del medico scolastico o di igiene pubblica, di sottoporre a terapia antibiotica qualsiasi bambino con positività del tampone faringeo per SP indipendentemente dalla sintomatologia clinica.
Tale problema si pone in occasione di infezioni streptococciche in ambiente scolastico che si manifestano con "epidemie" di faringite e soprattutto con scarlattina, che nonostante sia divenuta una malattia "benigna" con la terapia antibiotica (all’inizio del secolo la mortalità per infezioni streptococciche come la scarlattina settica, la sepsi streptococcica, l’erisipela oscillava tra il 20 ed il 55%) è ancora responsabile di paure e stati d’ansia nei genitori (soprattutto nei nonni), negli insegnanti e anche nei medici.
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