Erikson (1963) sosteneva che il gioco promuove padronanza e aiuta a sviluppare un locus of control (percezione che una persona ha sul proprio comportamento) interno. Nel gioco il bambino è attivo e, contrariamente a quanto avviene in altri momenti della sua esistenza, ha il controllo della situazione.

Il potenziale terapeutico del gioco trova piena applicazione nel settore della Play Therapy in cui si utilizzano “le interazioni del gioco in modo sistematico nel contesto della relazione terapeutica per aiutare bambini a raggiungere uno sviluppo sano e risolvere i propri problemi” (Rise VanFleet, 2010).

Sempre della stessa autrice “la Play Therapy è un ampio settore che utilizza sistematicamente la naturale inclinazione a giocare come mezzo per creare un ambiente terapeutico emotivamente sicuro che incoraggia la comunicazione, la creazione di relazione, l’espressione e la risoluzione dei problemi del bambino”.

Nell’ambito di questo grande settore che ha ormai una tradizione centenaria, esiste un’ampia varietà di approcci differenti. Tra questi, in base al contesto di intervento e ai bisogni ad esso associati e in particolare nei casi di relazione genitori – figli, si ritiene che un valido modello di approccio possa essere quello della Filial Therapy.

La Filial Therapy può essere utilizzata per problematiche legate all’età evolutiva quali: ansia, perfezionismo, variazione nella struttura familiare (divorzio, genitori singoli o adolescenti, genitori agli arresti, violenza, famiglie miste ecc), disturbi ossessivi compulsivi, depressione, problemi di evacuazione, perdita, attaccamento, affidamento, adozione, abusi, bullismo, apprendimento, disturbo oppositivo provocatorio, malattia, adattamento scolastico, ospedalizzazione ecc.

Secondo il modello terapeutico della Filial Therapy, il gioco è inteso come strumento di terapia, che permette di migliorare non solo il rapporto genitori-figli ma anche di influire positivamente nei rapporti coniugali, nelle reti tra pari e nelle relazioni familiari in generale.

La Filial Therapy è un approccio clinico in cui sono insegnate ai genitori quelle abilità tali da far sì che i genitori stessi diventino i sostenitori della trasformazione comportamentale dei loro figli. L’obiettivo è di dotare i genitori degli strumenti idonei a cambiare non solo le relazioni con i propri figli, ma anche il loro comportamento in ambito domiciliare e familiare.

“Tramite la Filial Therapy ai genitori sono insegnate le competenze necessarie da utilizzare in ambito domestico, fondate essenzialmente sulla strutturazione, l’ascolto empatico, il gioco immaginario e la definizione dei limiti”. (Rise VanFleet, 2011).
Possiamo quindi stabilire come “punti di forza” della Filial Therapy i seguenti aspetti:

  • considerare i genitori l’elemento essenziale del mutamento relazionale con i propri figli, di essere gli “ agenti del cambiamento” (Rise VanFleet 2010);
  • sostenere i genitori nelle loro effettive capacità di apprendimento di questi nuovi strumenti terapeuti.

In questo modello terapeutico è molto importante il livello di sintonia che il genitore realizza con il bambino e, altro aspetto fondamentale, è che in queste sessioni di gioco tutto deve essere centrato sul bambino. Non dimentichiamo che è sempre e comunque un intervento di tipo terapeutico che si sviluppa e si realizza sotto la supervisione dello specialista in Filial Therapy.

Un progetto di Filial Therapy parte dall’osservazione del gioco in ambito familiare, come si gioca, chi gioca con chi, dove si gioca, con che cosa giochiamo. La Filial Therapy è particolarmente adatta per bambini in una fascia d’età compresa dai 3 ai 12 anni, le sessioni di gioco dedicate durano mediamente 30 minuti, un genitore e un bambino alla volta e tutti i membri familiari sono coinvolti.

Nella fase iniziale sono eseguite dimostrazioni di gioco da parte dello specialista, si passa poi alla formazione genitoriale e in seguito  a sessioni di Filial Therapy supervisionate dallo specialista. Discussione e chiusura concludono l’intervento.

Siamo alla fine di quest’articolo e forse a molti è venuta in mente una semplice e ovvia domanda, …ma come convincere i genitori a porsi in prima linea e perché?

I genitori rappresentano le persone più importanti presenti nella vita di un bambino, conoscono intimamente i propri figli e quindi non si ha la necessità da parte del piccolo di sviluppare nuove relazioni sociali. Con i genitori è possibile offrire ai bambini uno spazio ottimale per comprendere il loro gioco rafforzando direttamente le relazioni familiari e l’attaccamento.

I genitori apprendono, oltre le abilità già citate a inizio articolo, nuove abilità applicabili fuori dalla sessione di gioco, utilizzabili nella vita di tutti i giorni, tra cui la comprensione dei temi di gioco e quindi delle problematiche del bambino tanto più la comprensione di se stessi e delle proprie reazioni.

Bibliografia

APT – Italia:  1° Corso Play Therapy – Roma Italia 2010.
Casarella, F. e Sforza, G. (2011) “La play therapy”, pubblicato in:
http://www.mammaepapa.it/famiglia/p.asp?nfile=play_therapy.
Mochi, C. (2010): “Fondamenti della Play Therapy” -1° Corso Play Therapy – Roma Italia 2010.
VanFleet R (2011): “Il libro di Filial Therapy dei genitori”. Play Therapy press. In corso di pubblicazione.

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